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giovedì 3 marzo 2016

Qualcosa in più su Lilloni

MARIA LUIGIA LILLONI


di Gino Traversi


da Donne di artisti
Istituto Europeo di Storia dell'Arte - Milano
1965




Il pittore Lilloni ha la natura nel sangue e, inconsapevolmente, andò incontro alla sua donna mentre si recava in un verde paradiso dell'Alto Bergamasco, Serina, località allora alla moda per i villeggianti lombardi. Umberto Lilloni aveva ventisette anni ed il suo pensiero dominante era dipingere. Lassù c'erano la madre e la sorella e, anzitutto boschi e montagne in attesa del suo già abile pennello. Maria Luigia non aveva mai avuto alcun rapporto con l'arte, nè si era mai interessata all'attività della sorella lsa pittrice che la presenterà al pittore milanese di cui non aveva mai sentito parlare prima. Il breve soggiorno a Serina fu sufficiente all'intesa tra i due giovani, che una volta tornati alle proprie abituali dimore iniziarono una fitta corrispondenza epistolare.
Maria Luigia Ghisleni abitava a Bergamo dove era nata nel 1906. Non era bella, nè particolarmente curata nell'abbigliamento, aveva però ricevuto buona educazione in un ambiente ispirato alla massima semplicità di costume. Suo padre, notissimo avvocato bergamasco, era dotato di sentimenti assai umani e democratici ed il carattere della fanciulla ne fu influenzato più che da quello autoritario e distaccato della bellissima madre, Compiuto il ginnasio Maria Luigia, che pure riusciva bene, non contlnuò gli studi forse a causa dei numerosi fratelli e sorelle, quattordici complessivamente. E' vero che tra governanti e camerieri almeno cinque persone prestavano servizio in famiglia, ma c'era sempre da fare, e per tutti.
L'incontro con Lilloni dovette apparire alla ragazza anche un ottimo mezzo per uscire dai limiti angusti della famiglia. Aveva diciannove anni e nessuna esperienza, nessuna ambizione. La sua esistenza ora divisa tra casa e libri, non frequentava divertimenti o amicizie. Non bisogna dimcnticare che correva Il 1925 e la personalità di un artista faceva allora colpo più di quanto ogi si possa immaginare. Maria Luigia rimase affascinata dal giovane, aitante pittore e puntò direttamente al matrimonio. I suoi erano molto meno entusiasti e tali rimasero anche dopo l'unione della coppia.
Lilloni quando si recò a Serina a tutto pensava fuorchè al matrimonio. Figlio di un piccolo industriale mobiliere milanese con due negozi in città, viveva senza troppe preoccupazioni. La guerra cui partecipò combattendo nelle file degli arditi, aveva si interrotto i suoi studi accademici, ma già da tre anni si era diplomato ed insegnava disegno all'Umanitaria, guadagnando duecento lire al mese. Alto, magro, spigliato, quantunque intimamente timido, non difettava di quelle qualità che piacevano alle donne. A quell'epoca le modelle erano numerose e facilmente accessibili e qualcosa di insolito dovette colpirlo se si decise subito al gran passo. Forse fu proprio quel senso di ordine e di civiltà che circondava Maria Luigia, oltre alla sua figura formosa e al carattere docile, che condussero l'artista al matrimonio. Dopo solo un anno, difatti, si sposarono a Bergamo. Stabilitisi a Milano in una casa della vecchia, centrale via Pasquirolo, ove Lilloni era cresciuto in un ambiente vivacemente descritto da Mario Lepore nella recente monografia dedicata all'artista, è nata subito
l'anno successivo, la prima figlia Adele, le difficoltà non tardarono a presentarsi. L'azienda paterna, senza l'apporto di Umberto, per il quale era stata creata, languiva. Il pittore, che non vendeva assolutamente quadri, doveva fronteggiare le necessità con il suo solo modesto stipendio: era un problema far quadrare il bilancio resosi ancora più pesante con la nascita di Luciano nel 1929. Pochi mesi prima Lilloni, sempre alla scoperta di nuovi scorci e macchie verdi da dipingere, si recò con la moglie e la figlioletta a Montù Beccaria nel l'Appennino pavese. L'abitato non era nè piccolo nè grande; i Lilloni non riuscendo a trovare un alloggio non esitarono, anche nella prospettiva di limitare le spese, ad accettare l'ospitalità del piccolo teatro locale. Si sistemarono sul palcoscenico e come in una recita si potevano vedere due quadri simultanei: il pittore che dipingeva da una parte, la moglie che cucinava dall'altra sopra un fornellino a petrolio. Immediatamente si sparse la voce che erano arrivati i «commedianti» e nelle sere successive non poche furono le persone giunte dai dintorni per assistere allo spettacolo. E' facile intuire il disagio della giovane sposa che però già a Milano aveva avuto di che modificare le abitudini della opulenta casa paterna. L'abitazione della pur nobile via Pasquirolo, centro della vita culturale ed artistico-musicale del tempo, era una vecchia casa priva di servizi igienici e di luce. In pochi anni il peso della florida Maria Luigia era sceso da circa settanta a quarantatrè chilogrammi. E ciò non solo in dipendenza delle pessime condizioni ambientali della casa, ma anche per il lavoro che davano i due fìglìoletti e per la scarsezza di mezzi finanziari. Ma ne usciva temprata nello spirito e pronta a sostenere lo scarso ottimismo del marito che meglio si potrebbe definire pessimismo. Ben presto il piatto fondamentale di ogni pasto fu la polenta che Mariuccia - così ama chiamarla il marito - cucinava e cucina ancor oggi in maniera eccellente. Erano tali la parsimonia e lo spirito di adattamento di questa donna che riuscì a suscitare non so quale festa intorno ad un piatto di polenta con l'aggiunta, eccezionale, d'un piatto di patate condite da parte del figlioletto Lucio in occasione del suo quinto compleanno. Gli adulti non erano meno soddisfatti dei bambini di ciò che poteva offrire Maria Luigia. Nella casa di via Pasquirolo sovente capitava all'ora di pranzo Edoardo Persico, e, non di rado, Birolli e Manzù che a notte avanzata si accompagnavano con Lilloni. In tali circostanze Maria Luigia si alzava compiacente per preparare la rituale polenta agli amici. Una volta Lilloni riuscì a cambiare quadri con vino buono e la cucina rimase letteralmente invasa da bottiglie accatastate. Intanto il pittore era passato ad insegnare, in qualità di professore incaricato, all'Accademia di Brera senza sensibile miglioramento della situazione economica generale.
Il suo più caro amico di quegli anni era indubbiamente il critico Persico, che, come giustamente ha scritto di recente Aligi Sassu: «In un'epoca grigia e senza speranze seppe mantenere fede alle lucide avventure del pensiero». L'ambiente artistico milanese, in verità, era sin dal primo dopoguerra grigio e stagnante. Lilloni, appena uscito dalla pigra atmosfera dell'Accademia, mise su studio assieme ai pittori Ghiringhelli e Del Bon - in via General Govone - e si dette, con i due colleghi, a frequentare assiduamente lo studio di Emilio Gola sistematicamente osteggiato da tutto l'ambiente locale. Antiaccadernico e anticonformista, il vecchio maestro era considerato dai tre giovani, segnatamente per la rottura operata nella forma e nel colore, un autentico rivoluzionario. Nel suo studio di via S. Paolo, asserisce Lilloni, nel 1923, nacque il «chiarismo ». Il giovane artista, sincero ammiratore di Sironi, aveva fatto fino a quel momento una pitura scura basata sui bruni e con uno spiccato senso plastico che denunciava chiara discendenza sironiana. Egli aveva guardato attentamente e con profitto alle espressioni avanzate del momento: da Sironi a Carrà, da de Chirico a Giandante X, ma il suo temperamento essenzialmente e semplicemente artistico rifuggiva da ogni sovrastruttura culturale. Insofferente ad ogni costrizione, politica o non, solo al contatto con la pittura di Gola scoprì veramente se stesso, capì che la luce, la natura erano la via da seguire per costruirsi uno stile proprio, per esprimersi genuinamente e senza alcuna interferenza al di fuori della fantasia e dello intuizioni poetiche. La nascita del « chiarismo », ad opera di Lilloni e Del Bon, va soprattutto intesa quindi come ritorno alla natura ed i loro primi quadri del '23 come presupposto dello sviluppo futuro. In pieno Novecento Lilloni non riuscì ad esporre una sola volta. Alla prima apparizione d'un suo quadro, nel '27, fu premiato col massimo riconoscimento ufficiale dell'epoca: il « Premio Principe Umberto». Nel '29 allestiva finalmente la sua prima mostra personale alla Galleria Bardi. Era l'anno in cui Persico da Torino si trasferiva a Milano. Arrivava al momento giusto quell'ingegno aperto, sensibile, equilibrato e coraggioso a sostenere e a difendere le idee ed il lavoro di molti artisti liberi, genuini, il cui solo torto, non più e non meno di come avviene oggi, era quello di non gradire la protezione di alcuno o l'appartenenza ad un determinato gruppo. La reazione al Novecento intorno al '30 era in pieno svolgimento: nella capitale la cosiddetta Scuola Romana, a Torino il Gruppo dei Sei, il Chiarismo a Milano, dove pure andava prendendo corpo la corrente astrattista.
Il termine chiarismo venne fuori nel '39 coniato da Guido Piovene in occasione di una mostra personale di Lilloni alla Galleria Grande di via Dante. Ma le sue origini, come abbiamo testè accennato, sono da porsi ben più lontane, così come la prima manifestazione pubblica che ebbe luogo nel '31 alla Gaueria del Milione in una mostra collettiva, cui parteciparono, tra gli altri, L illoni , Pittino, Birolli, Sassu e Tomea. L'opposizione del « chiarismo» era istintiva, e se per tale s'intende - come si deve - non solo una pittura a fondo chiaro ma un ritorno alla semplicità e alla costruttività della natura, alla resistenza al Novecento in qualità di chiaristi parteciparono, oltre Lilloni e Del Bon, anche De Rocchi e De Amicis, cui, più tardi, si aggiunse Spilimbergo. Se il luogo di discussioni e di studio strategico dei «rivoltosi» era il bar Mokador, in piazza Beccaria, ove Persico aveva sempre pronta una parola d'incoraggiamento o di decisa disapprovazione, il campo d'azione si estendeva negli studi degli artisti annidati nella casa rossa di via Solferino ove Lilloni lavorò fino al 1938. Intorno al '40 il « chiarismo » si concretizza e matura conseguendo una differenziazione tra i linguaggi dei singoli esponenti, ove quello di Lilloni si distinguerà per il suo autonomo mondo poetico. La lunga lotta ormai va spegnedosi. Proprio nel '40, infatti, Lilloni rifiuta l'invito di Barbaroux ad esporre nella sua galleria - possibilità che gli era stata negata qualche anno prima con la comoda scusa del «tutto prenotato» - per legarsi alla Galleria dell'Annunciata.
Nel frattempo la famiglia Lilloni era andata ad occupare un appartamento piccolo ma molto più confortevole di quello precedente in piazza Grandi.
Le ristrettezze, i sacrifici continuarono ancora nonostante il pittore fosse nominato nel '41 titolare della cattedra di decorazione pittorica a Parma. Maria Luigia, sempre docile e sottomessa, aveva mantenuto saldamente il fronte familiare, come il marito lo aveva mantenuto fuori, nel suo campo, senza mai interferire minimamente nell'attività dell'artista. Anche quando Lilloni dovette assentarsi per parecchi mesi per andare a dipingere in Svezia - l'ultimo paese romantico d'Europa come egli lo definisce - Mariuccia si mostrò accondiscendente e paziente. Poi nacque, nel '46, Renata, ora studentessa e avviata anch'ella, come i fratelli, agli studi universitari e la famiglia aumentò gradualmente anche in benessere e tranquillità. « Abbiamo sempre vissuto con i centesimi» mi dice Lilloni avvolto nella sua casacca verde bandiera, sorridente e gioviale, dimentico, per un momento, dei suoi acciacchi, mentre nel suo magnifico studio di via Sismondi quasi non si riescono ad immaginare le difficoltà ed i sacrifici che hanno preceduto, e da non molto, l'agiatezza odierna. La signora Maria Luigia mi guarda con lo sguardo sorridente e timidamente orgoglioso, discreta nei suoi interventi come per tutta un'esistenza lo è stata nei riguardi dell'attività del marito. Il che non è poco.

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